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NEMICO PUBBLICO
(PUBLIC ENEMIES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 novembre 2009
 
di Michael Mann, con Johnny Depp, Christian Bale, Marion Cotillard, Billy Crudup, Leelee Sobieski (Stati Uniti, 2009)
 
L'autore di HEAT e COLLATERAL si muove da sempre d'incanto nel poliziesco come nel film di genere. Johnny Depp si ricorda di quanto deve a Tim Burton, e ci propone un Dillinger fantastico, assai più zombie sognatore che angelo del male. Non aspettatevi però rivelazioni straordinarie da una storia d'altronde arcinota, dati storici o impennate strabilianti della sceneggiatura (eccezione, e in gran spolvero, quella paradossale visita finale del gangster nei locali della polizia). Visto a quel modo, NEMICO PUBBLICO non è altro che un film dallo stile sopraffino, unicamente preoccupato dalla resa estetica di momenti che appartengono alla tradizione, evasioni e rivalse per gli anni trascorsi in prigione, amori per le pupe e tradimenti degli amici, rapine e sgommate condite da tante, tante sparatorie. Solo che, come dovrebbe sempre accadere, tutto si sublima nello sguardo posto dal regista su quell'amalgama di schemi. Uno sguardo da un lato straordinario per l'accuratezza di una ricostruzione che ci accorgeremo andare ben oltre l'iconografia; dall'altro, come sospeso (a somiglianza di un protagonista che vive nell'eccitazione dell'istante presente, conscio di quanto l'aspetta) nell'incertezza amniotica di un acquario, tra personaggi, situazioni, soluzioni sonnamboliche.

Malgrado sia considerato uno dei più celebri banditi della storia, a Dillinger non si è mai riusciti ad imputare più di un omicidio: ma all'autore non interessa tanto il rapinatore di banche ammirato dalle masse (per non dire dalle donne), il Robin Hood malinconicamente glamour che rubava alle banche, colpevoli di aver condotto il paese alla Depressione. Non a caso il titolo originale parla di nemici pubblici, al plurale. Perchè chi stava dall'altra parte (a cominciare dal suo più tenace avversario, il Christian Bale alla testa dell'FBI di Edgard Hoover dai metodi sempre più ai confini della legalità per non dire della moralità), l'universo che aveva alimentato il mito romantico del fuorilegge stava entrando in un'epoca ben diversa. Nella quale l'irruzione della tecnologia, come la generalizzazione della droga rendevano i sistemi della polizia, e gli interessi della malavita esasperatamente amplificati (oggi diremmo globalizzati). Sempre più distanti da quella specie di corpo a corpo, quasi sentimentale, sul quale si era costruito il mito dei Dillinger.

Michael Mann esalta allora l'uso dei primissimi piani, introduce nell'ambiente, da maestro incomparabile dell'uso dell'immagine numerica, sul filo di una vertiginosa, destabilizzante profondità di campo. Con un'immediatezza da reportage in tempo reale, nell'oro smunto della fotografia di Dante Spinotti, sul controcampo suadente della colonna sonora, dei Bye Bye Blackbird atemporali che da Billie Hollyday giungono a Diana Krall, annega la sua vicenda nel mondo della notte, degli echi delle sparatorie urbane, del cromo referenziale delle Ford e Packard d'epoca. Oppure uscendo fra i boschi, per le fughe abbaglianti nella natura, ma sempre nel clima poeticamente irreale e instabile dell'alta definizione. A quel modo, finisce per ricondurre con i piedi per terra la decorazione sfumata dal Mito; la riporta a un confronto d'uomo contro uomo, a un duello personale come quello fra Pacino e De Niro in HEAT. Più miserevole, a somiglianza di quell'esecuzione finale fra i passanti indifferenti, ma tanto più vero e moderno.


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